PEDAGOGIA 2 - le scuole del popolo
Le scuole di Dottrina Cristiana
La necessità di combattere l'ignoranza della gioventù povera fu al centro delle iniziative di un prete comasco, Castellino da Castello, che nel 1536 aveva iniziato ad aprire le porte della scuola milanese dei SS. Giacomo e Filippo ai fanciulli che oziavano per strada.
A Milano la scuola si teneva nei giorni festivi, durante il pomeriggio, nei locali delle chiese. Ai ragazzi si insegnavano, inoltre, le preghiere, i comandamenti, i fondamenti della dottrina cristiana e le principali regole di buone maniere.
Le scuole di dottrina cristiana raggiunsero una vasta diffusione in Lombardia, in generale nel nord Italia; la diocesi ambrosiana vantava 740 scuole con 40.000 scolari. Nel resto della penisola le scuole di dottrina cristiana non restarono tuttavia fedeli al modello milanese, concentrandosi più sull'insegnamento del catechismo che su quello della scrittura e della lettura. Nel XVII secolo prevalse, infatti, il cosiddetto modello romano, privo di questi due insegnamenti.
Giuseppe Calasanzio e le scuole pie
Giuseppe Calasanzio fu ordinato sacerdote nel 1583, nel 1597 aprì una scuola in due piccole stanze della chiesa di Santa Doratea in Trastevere. Calasanzio, compreso che l'educazione dei poveri era la sua missione, fondò nel 1617 l'ordine dei chierici, regolari poveri della madre di Dio delle scuole pie. Le scuole pie presentarono tratti innovativi e caratteristiche organizzative diverse. Il percorso era scandito in due livelli di quattro anni ciascuno: era la prefigurazione delle attuali scuola primaria e scuola secondaria di primo grado. Nel livello base si insegnava a leggere, scrivere e far di conto; ogni classe aveva un maestro unico e arrivavano ad essere fino a 60/70 alunni. Le classi al loro interno erano suddivise tra: coloro che imparavano a riconoscere le lettere, poi a compitare, quindi a leggere; coloro che imparavano a scrivere; coloro che apprendevano la matematica.
Il passaggio da una classe all'altra era possibile previo esame e solo i migliori potevano accelerarlo. Nelle scuole pie si imparava a leggere e scrivere in lingua volgare; rivolgendosi ai fanciulli poveri gli scolopi giustamente privilegiarono la lingua che essi conoscevano. Gli studi di secondo livello erano incentrati sul latino.
Gli scolopi insegnavano anche le buone maniere e attribuivano molta importanza allo studio del catechismo; gli scolopi cercavano di stimolare l'emulazione e lo spirito di carità, suddividendo le classi in due gruppi e premiando il migliore della classe con la carica settimanale di imperatore.Silvio Antoniano pubblicò un'opera nel 1584 con il titolo "Tre libri dell'educatione cristiana dei figliuoli", che costituì per quasi tre secoli il testo di riferimento fondamentale per famiglie ed educatori cattolici. Il testo e elargisce ai genitori moltissimi consigli su come educare i figli ad essere buoni cristiani. Il pessimismo antropologico di Antoniano faceva sì che egli non comprendesse alcune caratteristiche dell'infanzia, giudicando negativamente determinati tratti peculiari dei bambini. Favorevole ad impiantare le buone abitudini in età assai precoce, Antoniano era convinto che occorresse crescere i figli avezzandogli a pratiche di vita da adulti, inoltre lui riteneva necessaria una educazione differenziata secondo il genere. La rigorosa distinzione tra ruoli e la rigida articolazione gerarchica della società si riflettevano nella definizione di una funzione sempre subalterna della donna. Il timore del disordine sessuale e il desiderio di moralizzare i conventi fece sì che la chiesa tridentina imponesse la clausura come unica possibilità per le donne che prendevano i voti, precludendo loro per secoli altre forme di apostolato.
Le maestre pie degli istituti di Rosa Benerini e Lucia Filippini fondarono a Roma scuole gratuite femminili, dove venivano insegnate la lettura, il catechismo e i lavori femminili. Cardine dell'educazione femminile negli orfanotrofi, nei monasteri e in casa era l'educazione morale. Le fanciulle erano precocemente abituate a mantenere un contegno modesto, a tenere gli occhi bassi, a osservare il silenzio, a camminare in modo composto, a non lamentarsi. Subordinate al padre, al marito, al fratello, al vescovo, la donna imparava presto l'obbedienza.
L'attenzione rivolta dalle famiglie alla crescita dei figli, l'avviamento alla abitudine virtuosa e al comportamento coerente con i valori etici e religiosi del tempo, producono quello che lo storico Philippe Ariès ha definito il moderno "Sentimento dell'infanzia", ossia una considerazione del bambino come soggetto dotato di significato proprio. Il segno di una attenzione e sollecitudine verso l'infanzia dà vita ad una sensibilità inedita; il sentimento dell'infanzia è espressione di un cambiamento dalle radici profonde. Con la nascita del sentimento dell'infanzia essa è riconosciuta come un valore non solo economico, ma anche come legame che unisce genitori e figli. L'educazione dell'infanzia moderna andò così via viva perdendo le caratteristiche dell'irregolarità e della occasionalità e si strutturò entro regole precise e istituzioni create ad hoc. Il bambino diventa così oggetto di una attenzione che accomuna, filosofi, politici, ecclesiastici; oggetto di una azione mirata che punta a ridefinirne le caratteristiche, gli attributi e le competenze. La nuova sensibilità produsse sul piano pedagogico una duplice conseguenza: un approccio alla crescita infantile caratterizzato da regole ben precise e collaudate e l'avvio di iniziative concrete, studi e riflessioni che cominciarono a concepire l'infanzia come un'età da curare, amare e valorizzare, non solo da reprimere.
Tra il XVII ed il XVIII secolo la famiglia diviene il soggetto educativo per eccellenza, infatti il valore di una persona era assegnato soprattutto in base alla sua laboriosità e alla sua capacità di mantenere la famiglia. Per ciascuna tipologia di famiglia era previsto un diverso itinerario educativo e scolastico; la principale novità fu l'emergere di scuole elementari destinate a coloro che non potevano conseguire un titolo di studio. Queste scuole furono chiamate in Francia e negli altri Paesi francofoni "Petites écoles" e in Italia "scuole di carità". L'origine e la diffusione delle piccole scuole si intrecciò spesso con il bisogno degli adulti analfabeti di imparare almeno a leggere. La frequenza era assai flessibile e connessa in genere al calendario agricolo. L'apprendimento era scandito da fasi prefissate rigidamente: prima si imparava a leggere, poi a scrivere, infine a conteggiare. La maggior parte degli allievi si fermava al primo stadio.
Jean-Baptiste de La Salle e la Conduite des écoles chrétiennes
Il primo tentativo compiuto in ambito cattolico per organizzare una scuola popolare non precaria,duratura e didatticamente efficente si deve a Jean-Baptiste de La Salla. Nel 1638 acquistò a Reims una casa dove stabilirvi le prime scuole, alloggiare i primi maestri e avviare appositi corsi per la formazione dei maestri di campagna. Lo scopo era promuovere l'istruzione popolare; nel 1686 costituì con dodici compagni il nucleo iniziale della congregazione religiosa dei Fratelli delle Scuole Cristiane. La pedagogia di La Salle si distingueva in due aspetti: la motivazione religiosa e le competenza didattiche. Quest'ultima era basato su una spiritualità intensa. L'imposizione delle "piccole scuole" di Jean-Baptiste era fondata a pochi principi: organizzazione scolastica definita nei minimi particolari, gradualità negli apprendimenti, ordinati in base alle capacità degli allievi, educazione morale attuata attraverso l'istruzione, accurata formazione dei maestri. Essa fu presentata nella Conduite des écoles chrétiennes, una raccolta di indicazioni pratiche sul funzionamento della scuola.In coerenza con la finalità popolare gli insegnamenti erano previsti in lingua volgare ed erano rigorosamente graduatisecondo una scala progressiva di difficoltà divisa in due livelli. Nel primo si imparava a leggere, scrivere e far di conto. Il modello educativo di La Salle aderiva perfettamente alle regole del disciplinamento sociale
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Ai fanciulli andavano proposti insegnamenti pratici e modelli di buon comportamento; l'obbiettivo era di dare ai figli del popolo soprattutto una formazione utile, e di contenere gli istinti propri dell'età e far acquisire il rispetto per i principi morali e religiosi.
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